Borse: attenzione alla Cina!
Quello che vedete in testa all’articolo è il grafico dell’indice di Borsa cinese SSE (Shanghai Stock Exchange) negli ultimi due anni rapportato con l’indice americano Dow Jones. Facciamo alcune considerazioni.
- Negli ultimi due anni l’indice cinese ha guadagnato il +55,7%
- Negli ultimi due anni l’indice americano ha guadagnato il +10,6%
Se prendiamo in considerazione soltanto l’anno in corso, il divario si riduce enormemente
- Dall’inizio del 2015 l’indice cinese sta guadagnando il +2,5%
- Dall’inizio del 2015 l’indice americano sta perdendo lo -0,1%
Se poi andiamo a calcolare l’attuale distanza percentuale rispetto al loro massimo storico (che per entrambi è stato stabilito nell’anno in corso, a maggio il DJ ed a giugno l’SSE) le differenze si invertono nettamente
- Rispetto al proprio massimo l’indice cinese sta perdendo il -33,5%
- Rispetto al proprio massimo l’indice americano sta perdendo il -2,8%
Quindi in questi ultimi due anni la volatilità dell’indice cinese SSE è risultata enormemente superiore rispetto a quella dell’americano Dow Jones (ed il grafico la evidenzia).
Certo, si dirà, stiamo confrontando due indici che hanno storie completamente diverse, da una parte abbiamo l’indice più vecchio del mondo che ha oltre 130 anni di vita, dall’altro un indice che si calcola soltanto da 15 anni e che riflette i valori di un’economia ancor più “giovane”. Ciò, ovviamente, corrisponde a verità, ma le differenze degli ultimi due anni non si spiegano solamente con l’età dei due indici.
Come vedete tutto inizia a luglio dello scorso anno quando le autorità cinesi allentano le restrizioni per investire sulla Borsa di Shanghai, questo naturalmente porta ad un innalzamento repentino e significativo dei volumi.
L’SSE nella seconda metà dello scorso anno passa da circa 2.000 punti dell’inizio di luglio ai 3.350 punti con cui chiude il 2014, mettendo a segno un guadagno quindi del +63,4%. L’inizio del 2015, se possibile, è ancora più scoppiettante, al punto che nel giugno di quest’anno raggiunge la stratosferica quota di 5.166 punti.
I cinesi hanno scoperto la finanza e credono di poter guadagnare tanti soldi senza dover lavorare, ma semplicemente acquistando titoli azionari che ogni giorno salgono di prezzo.
Naturalmente finché le economie saranno “drogate” da interventi delle autorità monetarie, sui mercati finanziari si creeranno bolle speculative destinate prima o poi ad esplodere, e quella non faceva eccezione. Dai massimi del 10 giugno in meno di un mese l’indice di Shanghai crolla così a 3.500 punti, ossia perde il 32,2%, quasi un terzo della propria capitalizzazione.
A quel punto ha un rimbalzo che riporta le quotazioni oltre il livello dei 4.000 punti.
E siamo arrivati ai giorni immediatamente successivi a Ferragosto, l’indice cinese ha un nuovo crollo che in poche sedute gli fa perdere oltre 1.000 punti, torna così in area 3.000 punti.
Settembre è un mese di assestamento mentre ad ottobre assistiamo ad un forte recupero che riporta le quotazioni dell’SSE in area 3.600 punti.
Nuova fase laterale nel mese in corso e venerdì la doccia fredda, l’indice della Borsa cinese perde il 5,48% dopo che viene divulgata la notizia di una indagine della China Securities Regulatory Commission, l’equivalente della nostra Consob, la quale avrebbe riscontrato comportamenti scorretti in due, o forse tre, importanti società attive nel risparmio gestito.
Si tratta di colossi che hanno portafogli per centinaia di miliardi di dollari, quindi, parliamo di cifre importanti, con sviluppi che al momento non sono prevedibili, come spesso accade in questi casi ad essere nel mirino dell’Autorità di vigilanza diverse operazioni in derivati.
Nella seduta di venerdì scorso né le Piazze europee, né Wall Street (che comunque ha contrattato a mezzo servizio, visto che era una giornata semifestiva) hanno avuto ripercussioni dal crollo cinese, ma,qualora il mercato del gigante asiatico dovesse continuare a scendere, cosa potremmo attenderci?
Ricordiamo tutti infatti le cinque “drammatiche” sedute intercorse fra il 19 ed il 25 agosto, un crollo verticale che aveva interessato tutte le Piazze occidentali e che gli analisti avevano messo in relazione con il crollo contemporaneo dell’indice cinese, in cinque sedute l’indice Dow Jones aveva perso più del 10% ed era andata anche peggio per il Dax di Francoforte.
La preoccupazione, quindi, potrebbe essere più che lecita.
Guardando il grafico, però, possiamo notare una cosa estremamente “curiosa”, ed ossia che l’indice Dow Jones non aveva battuto ciglio mentre Shanghai crollava nel mese di giugno, mentre ha risentito pesantemente del successivo e meno pronunciato calo di agosto.
Perché questo comportamento?
La risposta che do personalmente è che il primo crollo della Borsa cinese, quello di giugno tanto per intenderci, poteva esser stato interpretato dal mercato come una reazione “violenta” all’impennata eccessiva avuta dall’indice nei mesi precedenti, dopotutto le Borse occidentali, pur salendo nella seconda parte del 2014 e nel primo semestre del 2015 avevano avuto delle performances nemmeno paragonabili a quelle stratosferiche dell’SSE.
Quindi, il crollo della Borsa cinese a giugno viene ritenuto un evento “interno” alle dinamiche del mercato cinese, in pratica si era gonfiata troppo prima e di conseguenza successivamente si era sgonfiata.
Mentre il crollo di agosto aveva fatto crescere seri dubbi sell’entità della “frenata” dell’economia cinese. Come si dice in questi casi con un’espressione anglosassone, si era temuto che l’economia cinese anziché indirizzarsi verso un “atterraggio morbido” potesse “schiantarsi al suolo”.
Ora, per concludere, quel dubbio possiamo ritenerlo del tutto superato? Ci fidiamo dei dati cinesi? O il nuovo crollo al quale abbiamo assistito venerdì scorso nasconde, dietro all’indagine della “Consob cinese”, qualcosa di più preoccupante?
Ed allora, cari lettori, nel dubbio, agli investitori io continuo a ripetere come un mantra il mio consiglio: siate prudenti.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro