Borse: la rettifica delle quotazioni dei titoli
Ogni tanto le mail che ricevo dai lettori mi inducono a pensare che alcuni concetti della finanza (ma nella fattispecie si dovrebbe dire della matematica finanziaria) non sono scontati come potrebbero apparire agli operatori professionali.
Trovo quindi utile scrivere un articolo per spiegare, spero in maniera esaustiva, come vengono rettificate le quotazioni dei titoli azionari.
E’ noto infatti che le valutazioni dei titoli di Borsa non sono determinate esclusivamente dalle normali transazioni di compravendita che avvengono a mercati aperti, a volte vengono effettuate operazioni straordinarie che influiscono in maniera determinante sulla quotazione degli stessi.
Queste operazioni, come ad esempio l’accorpamento azionario, o il frazionamento (normalmente indicato col termine anglosassone di “split”), gli aumenti di capitale e la distribuzione di dividendi fanno variare la quotazione del titolo.
Ciò influisce poco per l’investitore che fa presto a fare i suoi calcoli, egli sa perfettamente che se invece di 100 azioni del valore di 10 euro ciascuna gli vengono riassegnate 10 azioni del valore di 100 euro ciascuna, per lui nulla è cambiato, ha sempre un patrimonio di 1.000 euro.
Cambia, invece, e molto, per l’analista di Borsa che deve comparare soltanto i prezzi e non le quantità, quell’accorpamento di 1 nuova azione in cambio di 10 vecchie ha portato il prezzo del titolo a 100 euro, ma senza provocare alcun reale guadagno, quindi, per avere serie storiche che abbiano un senso, ossia i cui valori siano comparabili, si rende necessaria una “rettifica”.
E visto che dopo l’operazione straordinaria il prezzo “ufficiale” è quello nuovo (nel caso sopraesposto 100 euro), la rettifica deve essere fatta a ritroso, ossia a tutti i prezzi precedenti.
Il concetto è estremamente evidente nel momento in cui vengono effettuate operazioni di split ossia di frazionamento, prendiamo così, a mo’ d’esempio, un caso noto a tutti, il titolo Apple.
Sappiamo che dopo la chiusura del 6 giugno dello scorso anno, il titolo ha effettuato un’operazione di frazionamento con un rapporto di 7:1, in parole povere gli azionisti si sono ritrovati sette “nuove azioni Apple” per ogni “vecchia azione Apple” detenuta precedentemente.
Ed il prezzo di chiusura del giorno 6 giugno 2014, ossia 645,57 dollari naturalmente è stato ricalcolato con la medesima proporzione diventando 92,22 dollari (645,57:7).
Ovviamente la stessa cosa deve essere fatta ogniqualvolta il titolo distribuisce un dividendo. Continuiamo ad utilizzare il titolo Apple come esempio, il 7 agosto 2014 viene riconosciuto agli azionisti il dividendo trimestrale, pari a 0,47 dollari, per cui il prezzo di chiusura della seduta precedente, viene rettificato per quell’importo e naturalmente a ritroso per tutti i prezzi di chiusura precedenti.
La stessa cosa viene ripetuta il 6 novembre 2014 ed il 5 febbraio di quest’anno, sempre per effetto della distribuzione del dividendo trimestrale, per tale motivo il prezzo di chiusura del 4 febbraio scorso (119,56 dollari) viene rettificato in 119,09 dollari (119,56-0,47 = 119,09).
Semplice no? Anzi direi … banale.
Per questo non vorrei a questo punto complicarvi la vita facendovi notare che il dividendo incassato dagli azionisti nella realtà potrebbe a sua volta generare interessi, oppure continuare a seguire l’andamento del nostro investimento se reimpiegato proprio nell’acquisto di altre azioni dello stesso titolo ed è quest’ultima ipotesi che spesso si utilizza per ricalcolare le chiusure precedenti, ma i dettagli non ci interessano, importante per noi è capire il concetto.
Ebbene in questo modo possiamo così generare grafici dell’andamento di un titolo che hanno un significato, se non lo facessimo è del tutto evidente che costruiremmo cose senza senso. Nell’esempio di Apple se mettessimo su un grafico i valori di chiusura ufficiale (e non quelli rettificati) in corrispondenza del 6 giugno avremmo la quotazione di 645,57 dollari ed il giorno di Borsa successivo (il 9 giugno) 92,47 dollari, mentre naturalmente gli azionisti non si sono visti crollare il loro investimento (anzi in quel giorno la performance è risultato del +1,60%).
Ed arriviamo a noi, per questi banali motivi risulta lapalissiano che i raffronti fra le quotazioni di un certo titolo avvengano sui prezzi “rettificati” e non su quelli di chiusura.
Alcuni lettori, invece, la stragrande maggioranza, per essere sincero, con garbo e cortesia, mi chiedono perché io scrivo che un certo titolo ha ritoccato il proprio massimo storico quando invece aveva avuto, in passato, prezzi di chiusura più elevati.
La risposta quindi ora dovrebbe essere chiara, ossia si devono confrontare i prezzi rettificati e non quelli ufficiali, per cui, tornando alla nostra Apple, il massimo storico in chiusura avviene il 23 febbraio di quest’anno quando il titolo al fixing fa segnare 133 dollari, anche se, come abbiamo detto il 6 giugno del 2014 (ossia prima dello split) aveva terminato le contrattazioni a quota 645,57 dollari.
Qualche altro lettore, invece, in maniera sgarbata ed offensiva, mi rimprovera di scrivere inesattezze, portando come esempio il mio commento di ieri, nel quale scrivevo che Prysmian, terminando a quota 19,31 euro, aveva stabilito il proprio massimo storico.
Ebbene per quanto ho cercato di spiegare in questo articolo, spero in maniera esauriente, specifico: è vero che nel 2007, e per la precisione il 24 luglio, Prysmian al fixing aveva fatto segnare una quotazione di 21,18 euro, da allora, però, il titolo ha staccato sette cedole negli anni successivi per un totale di 2,3523 euro, e questo porta a dover effettuare delle rettifiche. Se ne deve desumere, quindi, che la chiusura di ieri 30.03.2015 con la quotazione di 19,31 euro, per Prysmian: E’ IL VERO MASSIMO STORICO DEL TITOLO!!!
E quindi cari lettori permettetemi di concludere dicendo che l’ignoranza in materia finanziaria è senza dubbio scusabile, l’arroganza e la maleducazione … molto di meno.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro