Cambiare l'Italia? Si può! Cominciamo dal mercato del lavoro
Si fa un gran parlare, in questi tempi, di una possibile riforma del mercato del lavoro, visto che occorre non far capire alla gente quel che si sta facendo, allora vengono utilizzati termini anglosassoni (jobs act) il cui significato è oscuro anche agli stessi politici che usano queste espressioni.
Ci si scontra (e a volte si litiga), fra le varie compagini politiche, sulle diverse tipologie di contratti e sulle loro caratteristiche, ma sono discussioni di lana caprina, che certamente non vanno al nocciolo della questione che quindi resterà irrisolta, il mercato del lavoro, in Italia, è un mercato assolutamente inefficiente, e questo è veramente grave!
Innanzitutto si potrebbero tranquillamente ridurre a sole tre le tipologie di contratto (indeterminato – determinato stagionale – apprendistato), ma non è questo il problema.
Sull’argomento, personalmente, ho idee radicali, ma chiarissime.
Via i contratti collettivi, via i sindacati, l’imprenditore deve avere la facoltà di licenziare chi vuole e quando vuole senza dover dare alcuna motivazione.
Troppo radicale? Non direi!
Perché naturalmente, per gli imprenditori, ci sarebbero stringenti normative da rispettare.
Innanzitutto ci deve essere una paga oraria minima garantita, questo è fondamentale, dobbiamo dare dignità al lavoratore, che deve poter mantenere decorosamente una famiglia, naturalmente gli imprenditori che non rispettassero l’obbligo della paga oraria minima garantita dovrebbero essere severamente puniti oltre ad essere privati dello “status” di imprenditori. Non hanno dato prova di saper gestire un impresa cercando di “sfruttare” le persone (a scapito anche dei concorrenti che invece si sono comportati correttamente), quindi basta! Deve essere proibito loro, anche in futuro, di fare impresa.
E poi un grande sostegno (vincolato a determinate condizioni) per coloro che restassero momentaneamente senza occupazione e soprattutto alle categorie protette (le persone più sfortunate devono avere tutte le agevolazioni possibili).
Provo a dare risposte a vostre possibili obiezioni, è vero, in questo modo sarebbe certamente più facile perdere il posto di lavoro, ma anche enormemente più facile trovarlo.
I bravi imprenditori non sono stupidi, se hanno alle loro dipendenze persone valide faranno di tutto per tenersele.
Mi chiederete, ma perché fare questa rivoluzione?
Semplicemente perché è la forma più efficiente, i lavoratori più validi otterrebbero facilmente salari maggiori proprio perché le ditte se li “contenderebbero”, così come accade oggi per i calciatori, i più bravi, o quelli più utili alla squadra, riescono a spuntare un maggiore ingaggio.
Che stimoli può avere una persona se il suo percorso lavorativo è già segnato al momento dell’assunzione? Perché dovrebbe impegnarsi maggiormente se otterrà solo degli scatti automatici di anzianità, e non sarà in nessun modo premiato il merito?
E la maggior efficienza del sistema potrà anche, in primis, dare un aiuto più concreto a coloro con i quali la sorte (e la natura) non è stata benigna, ma sarà la “società” nel suo insieme a trarne beneficio, l’efficienza è ricchezza! Ed i vantaggi comunque ricadrebbero su tutti, anche se in misura diversa.
Chi avrebbe paura di una riforma del mercato del lavoro come quella da me prospettata?
Le persone meno fortunate, no! Ho specificato che avrebbero molti più aiuti rispetto a quelli di cui possono disporre ora.
Chi rimane senza posto di lavoro? Nemmeno! Perché ho detto che ci sarebbe un welfare, naturalmente con il rispetto di determinate condizioni, che andrebbe in loro soccorso.
Quindi ad essere penalizzati sarebbero solo i parassiti (che attualmente sono molti) ai quali una società più equa insegnerebbe che tutto si può ottenere, ma occorre meritarselo.
Per concludere, ma lo ritengo scontato, le pensioni non potranno che essere contributive, la pensione non è altro che un “salario differito”, e quindi ogni persona potrà andare in pensione quando vuole, naturalmente con una retribuzione parametrata all’età ed alla contribuzione versata.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro