Cirio, Parmalat e … i fallimenti
I casi Cirio e Parmalat, nell’immaginario collettivo degli italiani, più che rappresentare il simbolo della gestione fallimentare di grandi aziende, sono l’emblema della distruzione del risparmio.
Furono molti infatti i risparmiatori italiani che persero tutti i loro averi investiti in azioni ed obbligazioni delle due note aziende alimentari.
Ciò che la gente fa fatica a capire è come mai nei supermercati non sono mai spariti i prodotti con quei marchi, in altre parole, perché noi oggi compriamo ancora latte Parmalat e passata di pomodoro Cirio se quelle due aziende sono fallite?
Il motivo è semplice, quando viene instaurata l’amministrazione straordinaria per le aziende in crisi, la prima cosa che si cerca di fare è quella di dare una certa continuità dal punto di vista industriale, ditte di quel genere, “liberate” dalla zavorra finanziaria (ossia dai debiti), ovviamente hanno un valore e diventano appetibili per le società concorrenti.
Ed ecco allora cosa è accaduto.
Parmalat è stata acquisita dalla multinazionale francese Lactalis, il più grande gruppo lattiero caseario al mondo, che ha eletto l’Italia come suo secondo mercato più importante, in pochi anni, infatti, i transalpini hanno fatto razzia di grandi marchi storici del nostro Paese, sono sotto il loro controllo così oltre a Parmalat, anche Galbani, Invernizzi, Locatelli, Vallelata e Cademartori, più una serie di altre marche di minore importanza.
Cirio, invece, non è andata all’estero, il suo settore industriale è stato conferito a Conserve Italia, non la conoscete? Vi assicuro che non è per nulla una piccola società. E’ il più grande gruppo conserviero d’Europa, fattura oltre un miliardo (ebbene sì! Più di un miliardo) di euro all’anno, fa parte delle Confcooperative (alla faccia!) ed ha sede a San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna, un bel paesone di oltre trentamila abitanti reso celebre da Francesco Guccini cantore dei fasti della famosa “fiera”.
Insomma questi due colossi dell’industria agroalimentare non solo si sono visti sparire un temibile concorrente ma se lo sono inglobato ad un prezzo senza dubbio conveniente acquisendo non tanto la struttura industriale e il know-how, ossia quello che noi chiameremmo “competenze”, ma soprattutto il brand, ossia il “marchio”.
Ebbene sì, il brand, in alcuni casi, può avere un grande valore anche per una azienda fallita, ed i casi di Parmalat e Cirio, sotto questo punto di vista, sono due esempi eclatanti.
Tanto per essere chiari, l’opinione largamente prevalente fra la popolazione era che il fallimento di Parmalat fosse dovuto a folli speculazioni di carattere finanziario messe in opera dal patron Callisto Tanzi in combutta con alcuni top manager, e non certo per la scarsa qualità dei prodotti che, anzi, erano graditi dai consumatori.
Per questo il fallimento non ha intaccato il valore del brand, e chi ha acquisito le aziende si è ben guardato dal far scomparire un marchio conosciuto ed apprezzato dal pubblico.
Per concludere quindi, quando ci troviamo di fronte al fallimento di una società: gli azionisti ed obbligazionisti vedono andare in fumo il loro investimento, ma chi ne raccoglie le ceneri, spesso, fa un buon affare.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro