Il rischio e l’opportunità
La finanza è una materia estremamente semplice in quanto, nella sua essenza, si poggia su un unico concetto, quindi, capito quello, si è capito tutto. Qual è? Semplice!
Il concetto di rischio
Purtroppo il termine “rischio” evoca la nozione di “pericolo” e quindi può risultare fuorviante, nella realtà si dovrebbe più correttamente parlare di un “doppio” concetto, quello di rischio/opportunità, ma capite senza dubbio che la comunicazione poggia molto sull’immediatezza e la semplicità.
Il mondo gira sulla casualità, personalmente amo dire che l’Universo intero è un’immensa variabile casuale di Gauss, ma certamente in questo sono condizionato dai miei studi e dal mio “credo”.
E’ indubbio, però, che se non esistesse il “caso”, e le leggi che lo regolano, probabilmente non esisterebbe il mondo stesso, o perlomeno viverci sarebbe di una noia mortale.
Ed allora non dobbiamo aver paura del “rischio” perché, come detto, è solo l’altra faccia dell’”opportunità”, ciò che dobbiamo fare è conoscerlo e governarlo.
Non che ciò sia semplice, tutt’altro, è proprio una cosa appannaggio di pochi, e non tanto perché sia difficile comprendere il concetto di “rischio” quanto perché è un concetto “sfuggente”, “mutante”, quindi va continuamente calibrato.
Prendiamo ad esempio i BTP, sono un tipo di investimento a basso rischio? Certo, sono classificati in questo modo, ma è innegabile che oggi siano molto più rischiosi rispetto a venti anni fa.
Ed il fatto che negli ultimi anni, mentre lo spread scendeva dai 500 agli attuali 150 punti, si siano dimostrati una grande opportunità di guadagno (ricordate sempre opportunità = altra faccia del rischio) non fa altro che confermare quanto appena asserito.
Ed allora dobbiamo prestare sempre molta attenzione, per usare una metafora, non dobbiamo rinunciare ad andare in vacanza perché durante il viaggio potremmo fare un incidente, ma ciò non significa che quando ci si mette alla guida non si debba sempre essere molto prudenti.
Acquistare BTP venti anni fa (nel 1994) significava acquistare titoli di uno Stato che aveva un debito pubblico molto elevato (all’incirca pari al 121% del Pil), ma un Paese che si era finalmente “liberato” da un sistema di cambi quasi-fissi che lo stava soffocando e si apprestava quindi ad andare incontro ad un periodo florido per la propria economia.
Non a caso dal ’94 al 2000 il nostro debito pubblico, in rapporto al Pil, scendeva dal 121% al 109%.
Oggi, invece, acquistare BTP significa acquistare titoli di uno Stato che ha un debito pubblico ancora più elevato (134% del Pil), ma soprattutto con prospettive di sviluppo a dir poco sconfortanti.
E non dimentichiamo neppure che, in questo contesto, i rendimenti dei titoli risultano irrisori.
Ed allora, pur non volendo essere catastrofista, mi sembra lecito chiedersi se queste semplici considerazioni siano state fatte da tutti coloro che investono in BTP.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro