La Grecia comincia già a non mantenere i patti?
I giornali pubblicano la notizia dell’approvazione del secondo pacchetto di riforme da parte del Parlamento greco e tutto ciò, sottolineano, avviene a “larga maggioranza”.
A votare a favore, oltre ai due partiti di Governo (con 36 dissidenti di Syriza), anche quelli “dell’opposizione”, cioè Neo Dimokratia, Pasok e To Potami, ed alla fine si contano quindi 230 voti a favore, 63 contrari e 5 astenuti.
Questi numeri possono apparire come un successo senza precedenti, quasi un plebiscito che dovrebbe zittire ogni polemica, a dispetto di qualche sciopero, e qualche manifestazione, il Parlamento greco è compatto e sostiene l’accordo raggiunto con l’Unione europea.
E non basta! In questa seconda votazione alla pletora di voti favorevoli si è aggiunto un “SI’” che da solo vale quanto tutti gli altri messi insieme, è infatti quello di Yanis Varoufakis, l’ex Ministro delle Finanze dimissionario e polemico nei confronti dell’accordo firmato da Tsipras soltanto pochi giorni fa, il bel tenebroso, dopo il suo voto contrario al primo pacchetto di riforme si è “convertito sulla via di Damasco”?
Stiamo a vedere.
Tutto questo quadro idilliaco, però, nasconde invece alcune crepe, e, seppur si tenta di nasconderle, si tratta di crepe che possono avere effetti distruttivi.
Questo secondo pacchetto, infatti, doveva includere l’abolizione delle baby-pensioni e degli aiuti agli agricoltori le due misure più indigeste per i greci e sulle quale i vari partiti che compongono questa “nuova maggioranza” non hanno trovato l’unanimità, quindi, è stata “rinviata” la loro approvazione.
Ed ecco allora che in Europa tornano a manifestarsi i dubbi circa la “credibilità” della Grecia, ad avanzare questi dubbi diversi Paesi dell’eurozona, in particolare quelli che a breve dovranno recarsi alle urne.
I problemi, infatti, non sono tanto le baby-pensioni o gli aiuti agli agricoltori, seppur queste misure impopolari non siano da sottovalutare, quanto il nuovo taglio del debito sul quale insiste il FMI che la ritiene una condizione sine qua non per poter partecipare al nuovo piano di salvataggio.
Su questo punto, infatti, l’Unione europea rischia di disintegrarsi. Sembra infatti irremovibile la posizione della Slovacchia che ha detto senza mezzi termini che si opporrà “sempre” ad una ristrutturazione del debito greco e sarà la prima a chiedere “l’uscita dall’unione economica e monetaria della Grecia nel caso in cui non rispetterà gli impegni assunti con i capi di Stato e di governo della zona euro”.
Posizioni altrettanto dure sono state assunte da Spagna, Portogallo e Irlanda che hanno ottenuto di non trattare il problema della ristrutturazione del debito prima delle proprie elezioni politiche.
Tsipras però aveva l’impellente necessità di far votare queste misure ed ha chiaramente detto nel suo discorso davanti al parlamento greco, che la ristrutturazione del debito è una condizione già presente, seppur non scritta, negli accordi raggiunti a Bruxelles.
Insomma, in parole povere, ognuno tira acqua al proprio mulino, la Grecia cerca di ottenere il massimo degli aiuti, il FMI tenta di sfilarsi e lasciare la patata bollente soltanto alla Bce, i governi dei vari Stati europei non vogliono che il salvataggio della Grecia pesi interamente sulle proprie spalle, allora?
Allora, per la prima volta, devo render merito a Jean Claude Juncker, che con candore ha descritto perfettamente la situazione venutasi a creare, il Presidente della Commissione europea ha infatti detto che l’accordo raggiunto è “figlio della paura”.
A questo punto, però, sorge spontanea la domanda: un accordo figlio della paura … quanto può durare?
Anche a questa domanda Juncker ha dato una risposta: “se si mantengono gli impegni … durerà tre anni”.
A mio parere di meno, in ogni caso … è solo questione di tempo.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro