Moody's ci declassa, ma le società di rating sono credibili?
Come ampiamente previsto, e per certi versi anche quasi preannunciato, Moody’s ha declassato di un gradino ( da Baa2 a Baa3) la valutazione dei titoli di Stato italiani, tuttavia migliorando l’outlook ( da “negativo” a “stabile”).
Innanzitutto diciamo che il declassamento non ha alcun effetto, almeno nel breve periodo, anche il rating Baa3, infatti, rientra fra gli “investment grade”, però si tratta dell’ultimo gradino.
Ho già usato troppi anglicismi ed allora cerchiamo di tradurre.
Partiamo da Moody’s. Chi è?
Una delle tre più note “agenzie di rating”, ossia è una società che fa analisi finanziarie sia su imprese commerciali che statali. A seguito delle loro analisi viene attribuito un “rating” ossia un “voto”. E qua cominciamo con le cose non solo strane, ma stupide … cose da anglosassoni, tanto per capirci.
Ebbene, noi, noi che abbiamo insegnato la logica a tutto il mondo, i voti li esprimiamo in numeri, lo si fa non solo perché è la cosa più semplice ed intuitiva, ma perché è la cosa più logica!!! Leggere una classifica redatta dopo aver espresso i voti con dei numeri diventa così immediatamente comprensibile a tutti. Più alto è il voto (e quindi il numero) e migliore il giudizio espresso, basta quindi istituire una scala, che ne so, da 1 a 10 dove ovviamente 10 è il migliore e 1 il peggiore. SEMPLICE NO?
Invece queste società americane esprimono il voto tramite gruppi di lettere dell’alfabeto (maiuscole e minuscole) alle quali talvolta vengono aggiunti dei numeri. Risultato? Se uno non conosce la “scala” non è in grado di capire. Ad esempio: è meglio Ba3 o B3? E’ meglio Caa3 o Ca?
Ma c’è di peggio, perché le varie società di rating utilizzano “simbologie” diverse, Standard & Poor’s, ad esempio, utilizza solo lettere maiuscole in compenso aggiunge dei segni “+” e dei segni “-”. Vabbè abbiamo capito.
Proseguiamo quindi con la “traduzione”.
Cosa si intende per “outlook”?
Letteralmente significa “prospettiva”, sì insomma indica se la situazione si prevede possa migliorare, peggiorare oppure rimanere stabile. Nel nostro caso, quindi, precedentemente Moody’s assegnava ai titoli dello Stato italiano la valutazione Baa2, con outlook “negativo”, ossia in peggioramento, ora ha effettivamente proceduto al declassamento a Baa3, ma ha migliorato l’outlook portandolo a “stabile”.
Infine spieghiamo il termine “investment grade” che letteralmente significa “investimento di qualità”.
Ebbene, tutti i vari rating vengono suddivisi in due gruppi più o meno della stessa numerosità, la prima parte, quella dei rating migliori viene definita “investment grade” l’altra “non investment grade”. Sembrerebbe così una suddivisione decisamente grossolana, e di poco conto, se non che molti investitori istituzionali adottano politiche di investimento prudenziali, inserendo nel proprio statuto l’obbligo di detenere soltanto titoli “investment grade”.
Per questo abbiamo scritto che il declassamento subìto non ha alcun effetto nel breve periodo, perché il debito italiano è comunque rimasto all’interno del primo gruppo, tuttavia ora siamo sul gradino più basso dell’ investment grade, quindi un eventuale futuro nuovo declassamento ci farebbe scivolare nel “non investment grade” con conseguenze decisamente più preoccupanti perché si innescherebbero vendite dei titoli di Stato da parte di investitori istituzionali che, per quanto detto prima, hanno politiche di investimento che non permettono loro di detenere in portafoglio titoli “non investment grade”.
Pur sottolineando la pericolosità per i titoli di Stato italiani di un futuro ulteriore declassamento, e quindi di uno scivolamento nel “non investment grade”, mi preme sottolineare, tuttavia, che spesso i media nazionali si comportano in maniera sconsiderata, facendo vero e proprio “terrorismo mediatico” nei confronti dei risparmiatori. Sovente infatti giornali e tv usano attribuire ai titoli “non investment grade” l’appellativo di “titoli spazzatura” traducendo letteralmente l’espressione gergale che usano gli anglosassoni, ossia “junk bond”.
Ebbene nella realtà i titoli “non investment grade” sono suddivisi in 10/12 livelli e soltanto agli ultimi 2/3 di questi rating sarebbe lecito affibbiare quel termine, solo in quel caso infatti si concretizzerebbe il rischio reale di non vedersi riconosciuti gli interessi e, nei casi disperati, anche parte del capitale investito.
Ma arriviamo all’aspetto più rilevante, queste società di rating sono veramente credibili? Sono indipendenti?
Beh, non proprio. Esse infatti sono società private, da chi sono controllate?
Prendiamo ad esempio Moody’s, quella che ha declassato i titoli di Stato italiani, sapete chi è il suo maggior azionista?
Warren Buffett!!!
La terza persona più ricca del pianeta (dopo Jeff Bezos di Amazon e Bill Gates di Microsoft). Warren Buffett, quello che viene considerato il miglior investitore di tutti i tempi, quello che investe miliardi di dollari e … non sbaglia un colpo … beh … magari, che dite? Forse tramite Moody’s ha delle “notizie in anteprima” oppure forse è in grado di “indirizzare” il mercato nella direzione a lui favorevole?
Mah! Qualche dubbio l’avrei.
Ed ancora, Moody’s assegna il rating “A1”, ossia cinque livelli superiore al nostro, ai titoli del debito pubblico del Giappone, uno Stato che ha un rapporto Debito/Pil che supera il 253%!!! E noi, con il nostro 132% ci sentiamo dire che abbiamo un debito “monstre”, che siamo sull’orlo del baratro?
Forse allora serve solo avere una Banca Centrale “vera”, come quella americana, o, appunto, come quella giapponese. Una Banca Centrale che faccia … la Banca Centrale, ossia garantisca il debito! Forse quindi per l’Italia il problema non è il debito … ma l’aver ceduto la propria sovranità monetaria!!!
Ma concludiamo con l’aspetto più inquietante delle società di rating, ossia quello dell’autorevolezza!
Che autorevolezza ha infatti una società come Moody’s che, soltanto pochi giorni prima del catastrofico fallimento, il più grande fallimento della storia, quello della Lehman Broters, attribuiva ancora alla Banca americana il miglior rating, la tripla A, il massimo della solidità patrimoniale?
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro